Eschilo: Prometeo incatenato
(con testo a fronte)
Milano: Rizzoli 2004 (BUR Classici greci e latini)
2ª edizione, 2006

 

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“Quello di Prometeo si direbbe il mito per eccellenza, il più fecondo, il più segreto, il più rappresentativo della cultura occidentale”. E il fuoco è il simbolo originario della nostra civiltà.

 Prometeo ha donato agli uomini – i più miseri degli esseri viventi - , il fuoco rubandolo agli Dei, e provocato la collera di Zeus che lo fa incatenare a una rupe solitaria della Scizia. Qui si apre la tragedia; e Prometeo ancora rifiuta di obbedire. Egli conosce un segreto pericolo che minaccia la potenza di Zeus, e potrebbe salvarsi rivelandolo, ma nega, pur sapendo l’orrore della punizione che lo attende: sempre avvinto alla roccia sarà precipitato nel Tartaro per 30.000 anni e quando rivedrà la luce sarà tra le montagne del Caucaso dove l’aquila di Zeus divorerà ogni giorno il suo fegato inconsumabile. Tempi e sofferenze sovrumani, divini: in scena non ci sono che Dei, ma si scorge “sullo sfondo, come un’ombra di Prometeo, un grande personaggio muto”, l’uomo, la cui stessa sopravvivenza è la posta in gioco di questo scontro titanico.

Non stupisce che l’Incatenato sia apparso l’incarnazione della sfida  assoluta e consapevole, inconciliabile con ogni tirannia; egli appartiene di diritto all’immaginario dei ribelli, dei rivoluzionari, degli innovatori: e molti grandi spiriti come Goethe o Marx o Hölderlin ne hanno subito il fascino.

Ma Enzo Mandruzzato, ripubblicando interamente rivisitata la sua classica traduzione, ha voluto aggiungere i “Frammenti della Trilogia” che l’ambientano nell’intero disegno eschileo, e vi ha premesso un saggio esemplare per cultura e linguaggio, che adombra un altro Prometeo, “salvatore dell’uomo”, non solo perché gli ha donato col “fuoco” la pienezza dell’autocoscienza, il sapere, il potere sulla natura, ma perché ha voluto che non fosse più “orfano” del divino. Riconciliandosi con Zeus l’ha conciliato col cielo. Per questo già Tertulliano, ma anche Shelley in pieno Romanticismo lo sentirono fraterno al Cristo, “vincitore nella sofferenza”.

 

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