Pindaro: L'opera superstite
Bologna: Cappelli, 1980;
Nuova edizione in 4 volumi con testo a fronte
Milano: SE, 1989-94
(L'altra biblioteca)

4: Le Istmiche e frammenti, 1994

 

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Le Istmiche

Le gare dell'Istmo sono connesse intimamente col mare: sacre a Posidone, uniche tra le panelleniche non celebrate nel retroterra, non prive di tracce di gare nautiche, fondono il motivo funerario con quello dei culti marini: da quel luogo “nell'ombra di pini fittissimi” (Strabone, VIII 6, 22), Ino, atterrita dall'improvvisa follia dello sposo Atamante, si gettò in mare con il figlio Melicerte, per essere trasformati entrambi in divinità marine, Leucotea e Palemone.

Il “marmo di Paro” stabilisce per una prima fondazione una data corrispondente al 1239 a.C. L'era istmica si faceva cominciare dal 562-1. Il prestigio era notevole e la durata si prolungò almeno fino al tempo dell'imperatore Giuliano. Minime le tracce archeologiche del santuario, presso la costa del Saronico sulla riva occidentale dell'attuale canale di Corinto.

I giochi si celebravano ogni due anni, secondo e quarto di ogni olimpiade, in primavera al tempo di Pindaro; si aprivano con un sacrificio a Posidone nel suo antico tempio, ligneo e policromo, e duravano più giorni. Comprendevano il pentathlon, il pancrazio, il dolico, le corse dei cavalli e dei carri. Una peculiarità erano le prove per gli “imberbi”, intermedi tra i “ragazzi” e gli adulti.

L'antica corona di pino, sostituita già al tempo di Pindaro con l'apio dorico, fu dottamente ripristinata in età imperiale.

I frammenti

I frammenti pindarici sono stranamente sfuggiti all'epoca del frammentismo poetico, o poesia pura. Ora, senza perdere il loro fascino, sono restituibili più alla nostra nostalgia che alla loro vita. Attestano un Pindaro più complesso, più intimo e più “moderno”; doveva essere soprattutto qui il Pindaro “inimitabile” di Orazio.

E ne attestano la fortuna sia i frammenti papiracei che le citazioni. Appartennero a molti libri perduti: uno di inni in onore degli Dei, uno di peani in onore di Apollo, due di ditirambi liberi e accesi per Dioniso, ammiratissimi da Orazio, due di “prosodi”, canti di supplicazione eseguiti in processioni sacre, tre di partèni o “canti verginali”, caratteristici delle città doriche, dove l'ethos del sesso e della città è molto riconoscibile, due di iporchèmi o “canti di danza”, mimati, uno di “encomi” (lodi corali) e di “lamentazioni” per i morti, quelle che più si prestavano alla meditazione e alla speranza umana.

Tutti dunque inseparabili dalla musica, dalla vita associata e dal rito. E' sorprendente che la pura parola, isolata e scolorita, conservi tanta forza espressiva, e perciò, nonostante tutto, compiutezza.

 

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