Pindaro: L'opera superstite
Bologna: Cappelli, 1980;
Nuova edizione in 4 volumi con testo a fronte
Milano: SE, 1989-94
(L'altra biblioteca)

3: Le Nemee, 1991

 

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Dell'antica Nemea resta poco più delle tre colonne scure che spiccano tra le vigne e le erbe aspre, sulla strada asfaltata tra Argo e l'antica Cleone che al tempo di Pausania era la “strada Adrastea”.

Il tempio di Zeus, a cui appartenevano le tre colonne, era già in grave decadenza, ma le gare si celebravano ancora. Ciò che contava erano i luoghi: lì presso c'era l'antro del leone ucciso da Eracle e lì, in una radura del bosco di cipressi ricordato da Pausania, morì un infante, il figlio di Licurgo, Ofelte, il cui nome ricordava il serpe; e un serpe l'aveva morso in un momento di disattenzione della nutrice, durante la spedizione dei Sette contro Tebe.

Anfiarao consigliò e Adrasto istituì quei giochi propiziatori. L'infante fu chiamato Archémoros, che si traduce senza ragione come il “morto bambino”: fu “il primo morto”. Per la mitologia greca, o meglio per quei greci d'un angolo della tragica Argolide, la morte cominciò con il primo infante che entrò nella sua sfera.

Le gare si tenevano in luglio, ogni due anni, secondo e quarto di ogni olimpiade, e comprendevano le solite prove, premiate con corone di apio. Naturalmente anche per esse c'era la tregua sacra.

 

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