Ti perdono la morte
Roma: Scettro del Re, 1999
(Quaderni dello Scettro)

 

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1.

In qualche florido giardino asiano
in un patio in riva al mare sulle sabbie
fresche forse nacque, crebbe il poeta
gnostico che scrisse la resurrezione
di Lazzaro, come fu giusto che fosse,
vero che fosse, e forse era morta
la persona che amava e teneva come te
Madre le labbra serrate nel giudizio
definitivo - quale su di me?
Tu non mi giudicavi, mi commentavi
forse, ed esclamavi, perché non sbagliassi
la strada che non c'era e tu vedevi -
un viso augusto come il tuo
vide il poeta che meritò tanto:
Gesù era venuto con indegno ritardo,
accade, e con questo? "Ma è morto
da quattro giorni", e con questo? "ma
puzza", e con questo? fatemi vedere,
disse come un medico e allora pianse
perché il male di chi si ama colpisce
anche i più catafratti degli amici:
e s'inasprì e ordinò all'amico
di uscire da quel luogo,
dall'impura caverna,
alla luce del sole,
e allora tutto finì, pare, nessuno
gli domandò da dove veniva: ma chi domanda
da dove viene chi ha dormito?
E dove è andato il Cristo che passa sempre,
venne e passò dall'origine alla fine del mondo,
sulla terra dove pianse e vagì
e nelle stanze dove penetrò
nelle vie dove era sempre difficile pensare a lui
e perciò riconoscerlo, poiché solo pensandolo
può guardarti nel viso e dirti in silenzio
"non sono un sogno". Mentre scrivo
come al solito, Madre, ti pongono
in quella che chiamano bara, di là:
dormi, era raro che dormissi
(non ti svegliavo perché dormivi poco
e in segreto, soltanto una o due volte
proruppi atterrito come fossi morta,
e ora lo sei: ma non è così,
non è l'impossibile attimo
che squarcia la verità e l'anima
perché il tesoro del nostro cuore si versi,
fu molto lento e asservito
perché anche il dolore è delusione).

 

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