Orazio lirico
con disegni di Mario Pinton
Padova: Liviana, 1958
(Carmina)

 

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Ci fu veramente un “Orazio lirico”? Non quello preferito dalla critica: intimo, privato, “leggero”, ma serio e d'intensità paragonabile ai grandi romantici? Ne parla questo libro, un'opera prima di un giovane filologo e traduttore di poesia, di sorprendente novità critica e sicurezza espressiva.

Traccia una linea lirica dal 45, quando ad Atene nacque, con la scoperta dei poeti greci, la stessa vita poetica di Orazio. Subito (marzo 44, uccisione di Cesare) fu travolto da un vortice di esperienze pubbliche senza precedenti, e dal 38 con l'amicizia di Mecenate cominciò la sua fortuna: ebbe amico l'Augusto, notorietà e gloria, ma l'amore della poesia, sottesa a questa immagine “ufficiale”, lo richiamava a una solitudine che trovò finalmente la sua ambientazione nella villa sabina.

Di testo in testo, di anno in anno scopriamo le virtù liriche di Orazio, perché la lirica "fu la sola passione duratura che si concesse". Una vena ricca, personale, ma anche e soprattutto pindarica, civile e religiosa. C'è un Orazio nuovo, ammalato di solitudine e malinconia, dissimulate dietro un sorriso o sopportate con sobria virilità, che cerca un argine all'angoscia propria e comune e lo trova nella certezza della morte.

Mandruzzato osserva: una singolare tensione del linguaggio: una rara esilità, una variata distanza tra l'oggetto e il segno, le situazioni improvvise che nascono da una zona di cose taciute, l'espressione genialmente vaga: pare che il pensiero poetico s'incentri in qualche singola e impreveduta parola, che assume di volta in volta la massima pregnanza possibile nella intelligibilità e indica il termine più lontano di ogni coerenza.

Come nella poesia contemporanea. E un traduttore contemporaneo, avendo a sua disposizione la sensibilità della sillaba, poteva rendere il metro eccezionale di Orazio, dove il rilievo della sillaba produce un disseminio musicale che finisce per scioglierla dal periodo metrico, anche se tutto pare chiuso in strofe rigide, e perfino dal verso. La preziosa complessità degli effetti era aiutata dall'accento, trascurato dai metricologi, che s'aggiungeva al gioco della quantità.

Per la sua capacità di interrogare il valore semantico delle forme artistiche, la traduzione si propone come compiuta esegesi. E' stimolante sperimentare questa vicinanza di Orazio alla nostra sensibilità, mentre viene messa in luce la sua verità diversa dalla nostra.

 

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