Fedro: Favole
(con testo critico)
Milano: Rizzoli, 1979
(BUR Poesia; SuperBUR; BUR Superclassici)
14ª edizione, 2005

 

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Potenti e deboli, ricchi e poveri, quelli che possono tutto (essere felici, umiliare, dominare, fare applaudire i propri versi, godere della libertà propria e altrui) e quelli a cui non resta se non il loro “pudore”. Ecco gli animali di Fedro, lo scrittore nato schiavo, colpito e perseguitato dalla Fortuna, la nemica di tutti i filosofi di tinta stoica, ma in particolare, pensava lui, degli sfortunati.

Il Potere lui non poteva abbatterlo, ma denunciarlo sì: e riportarlo al mondo delle apparenze, delle maschere di cui la volpe - l'animale-autoritratto - scopre, solo a girargli un po' attorno, la vacuità.

Da parte sua il Potere lo mise a posto facilmente. Fedro fu una di quelle vittime di esso (in questo caso di Seiano) che non possono avere altra testimonianza che la propria. E anche la Fortuna - il Caso, l'irrazionale delle cose, la Tyche dei filosofi - quasi a vendicarsene, lo maltrattò come scrittore, gli negò la fama e s'accanì anche dopo la morte cancellando l'individualità e perfino la paternità dell'opera, relegandolo nelle scuole, ignorandone il dolore, la protesta, il coraggio.

Era il caso di rendere giustizia a quello che è forse - con Trilussa - il più moderno e autentico dei favolisti e il solo poeta veramente popolare della letteratura latina.

La versione, dovuta a uno scrittore che è anche un eccezionale traduttore di poesia - basti ricordare il suo Hölderlin o il Prometeo eschileo - è introdotta da una ricca, originale, vivace ambientazione storico-culturale che ci fa entrare nel vivo dei problemi e del costume del tempo e getta un fascio di luce nel concreto ambiente sociale in cui nacquero questi apologhi risentiti. Anche il singolare “caso” filologico di Fedro, sebbene riproposto soprattutto agli specialisti, può provocare l'interesse e la curiosità di qualunque lettore.

 

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