Lirici greci dell'età arcaica
Milano: Rizzoli, 1994
(BUR Classici greci e latini)
4ª edizione, 2001

 

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Della lirica greca arcaica non sono rimaste - fatta eccezione per un'intera opera di Pindaro e alcune grandi liriche - che poche composizioni minori e una miriade di frammenti, affidati a citazioni casuali o a papiri tardivamente dissepolti. Nonostante questo, innumerevoli lettori cercano quei poeti, li interrogano, li indovinano, tentano di collegarli e di ambientarli. Che cosa ci attira, soprattutto oggi, in quei grandi perduti?

La lirica si sa è la voce dell'io, nata con l'avvento della polis: Da Omero ad Archiloco è avvenuta questa rivoluzione, il popolo parla. Si entrava nella vita della Città, ci si calava nel presente. E dalla voce della Città si levavano e si distinguevano voci di cittadini. Tutte le occasioni erano buone se veramente vissute, e tutte degnamente contingenti: un'invasione di Cimmeri, uno scontro con i barbari traci, l'amata che non corrisponde, una caricatura rancorosa, una bella solennità, un antico racconto di Dei e di Eroi, una preghiera personale. Le cose di tutti e i sentimenti molto condivisi di qualcuno, espressi nel linguaggio più semplice e naturale, e naturalmente in versi (non dimentichiamo la lunga inesistenza della prosa).

Quelle parole ci emozionano ancora. C'è, di quella fascinazione non solo erudita e neppure estetizzante, una ragione poco dichiarata e non abbastanza cosciente: vi traluce qualcosa che non abbiamo più.

Il segreto della lirica greca è nella veridicità: non ha bisogno di immagini e di suggestioni. E' la vera poesia pura. Tutto è nativo e immediato, e basta un verso per sentire una voce, un tono: la segretezza appassionata di Saffo, il genio dell'espressione netta, vigorosa, di Alceo, la vitalità irruente di Archiloco, la malinconia di Mimnermo, il realismo brutale di Ipponatte, la saggezza del buon governante di Solone, l'eleganza rubesta e mattiniera di Alcmane, la favola damascata di Stesicoro, la scandalosa modernità di Simonide, la fede di Pindaro, l'evasione fiabesca di Bacchilide.

La cosa più sorprendente è la riconoscibilità di questi diciannove poeti “diseguali”, la loro unicità, il loro “pensiero poetico”, ricreato con intensa ed efficace espressività dalla nuova traduzione di Enzo Mandruzzato. A Mandruzzato si debbono pure la bella introduzione, con un prezioso discorso sul tradurre la poesia di un testo poetico, e le premesse ai singoli poeti, dense di intuizioni illuminanti.

 

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