Il Settecento
L'Arcadia
Metastasio

 

Il Settecento e i suoi amici antichi

 Il parrucchino bianco, in luogo della copiosa e spocchiosa parrucca nera del Seicento, era un simbolo: livellava le età ed esaltava i valori ideali dei capelli bianchi, la saggezza, l'autocontrollo, la tolleranza. Quelli del secolo. E quelli dell'età che noi diciamo ellenistico-romana. La cultura classica non era mai stata così vissuta e così alla pari.

Tutti gli antichi, ma molto meno gli arcaici e meno i Greci dei Romani. Potevano appassionare come romanzi: David Hume (1711-76) racconta che da ragazzo era felice di abbandonare i libri scolastici per rifugiarsi in Cicerone e Virgilio. Ma lo scrittore privilegiato era Orazio, che tutti leggevano e citavano e molti imitavano. Sempre Hume, poco incline ai superlativi, lo definiva "il più piacevole e intelligente scrittore del mondo". Anche Esopo pareva sapienziale (come a Orazio stesso) e l'apologo prosperava in tutte le letterature. Un Seneca o un Marco Aurelio erano maestri di vita. La spiritualità classica fu riscoperta e vissuta. Beniamino Franklin, presidente d'un'Europa nuova, gli Stati Uniti, imparò da Pitagora l'uso dell'esame di coscienza quotidiano e diede a se stesso questo ammonimento: "Imita Gesù e Socrate". L'attualità di Socrate consisteva nell'essere stato il primo "a portare la filosofia dal cielo alla terra" cioè all'uomo. In tutto il secolo c'è una congiura contro la metafisica. Se esiste un'epoca in cui l'uomo è al centro del mondo, piuttosto che il Rinascimento, è il Settecento.

Si respira aria di serenità e di ottimismo in questo tempo di Leibniz. Tipica in questo senso è la Lettera sull'entusiasmo del Conte di Shaftesbury, dove si fa l'elogio del buonumore e dell'umorismo, assicurando che anche Dio ne è ben provvisto e che accetta le critiche in buona fede con l'indulgenza di un padre saggio.

Anche sul piano politico-economico tira un'aria buona, sebbene il secolo si apra con una guerra, quella di Successione spagnola, sorta per la vacanza del trono di Spagna a cui aspirò il Re Sole, cosa temutissima dall'Austria e dall'Inghilterra, che riuscirono a battere la Francia. Ma, come dalla disfatta del 1870, nacque una Francia meno guerriera ma molto più universale. L'Italia passò dal dominio spagnolo a un protettorato austriaco con indiscutibili vantaggi.

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 In tutta Europa ci fu un crescendo di serenità, di ricchezza e di scambi; del commercio il Settecento fece un veicolo di civiltà e di "filantropia", la nuova caritas. In Italia le città si fecero più belle e popolose; alla fine del secolo la popolazione della Penisola era salita dai tredici milioni degli inizi ai diciotto. Il Regno di Savoia, alleato di Vienna durante la guerra, avrà il suo ruolo; Venezia, dignitosamente neutrale, divenne la città che tutti visitavano, non solo perché bella ma perché civile e tranquilla come la Svizzera di oggi, e Dio sa quanto più allegra. La vera città romantica fu Roma, con le sue rovine e la sua campagna solenne; al tempo di papa Braschi era la capitale dell'archeologia, scienza poetica per eccellenza.

Sono maturate le monarchie assolute e le aristocrazie, fino al gratuito; il secolo è aristocratico e il bene scende dall'alto, ordine, cultura, riforme; parallelamente, ma senza i diritti civili dell'aristocrazia e del clero, la borghesia si fa sempre più ricca, più attiva e più colta. Anch'essa assume la parrucca, simbolo sociale. La portano pure tutti quelli che vivono nell'ambito delle aristocrazie, perfino i servitori e i militari. Il soldato è solo al servizio della corona, ma prende il suo mestiere come uno sport allegro e virile; caratteristica la canzone dei soldati all'inizio del Faust.

Anche la nobiltà ha spesso spirito avventuroso e gagliardo. Non era il secolo svenevole che si crede. La sensiblerie era una virtù femminile fascinosa ma spesso vendicativa; altrimenti la severità era normale, la durezza frequente, la crudeltà, se si trattava di difendere le istituzioni, doverosa. Come nel mondo romano, si applicava la tortura come metodo giudiziario (non per tutti: in una società fondata sulle classi la legge non poteva essere uguale per tutti). C'era una strana insensibilità: un uomo come Goldoni, uscendo da Parma dove ha pernottato, vede il campo della battaglia combattuta durante la notte. Venticinquemila morti "nudi e ammucchiati: si vedevano gambe, braccia, crani e sangue dappertutto: che carneficina!" (Mémoires I, 32). Aggiunge che si temeva un'epidemia, ma Venezia, cointeressata alla salute generale, spedisce calce in abbondanza "per far scomparire tutti quei cadaveri dalla faccia della terra"; oggi si parlerebbe così d'una strage di roditori. La stessa insensibilità aveva il pubblico degli autodafé e delle feroci esecuzioni pubbliche; e a modo suo, faceva parte dello spirito etico di quel mondo sempre meno metafisico. Analogamente Marziale, buona persona, inorridì a vedere un orso dilaniare un condannato, e per tranquillizzarsi si ripeteva le sue gravissime colpe (scritte, com'era d'uso, su un cartello). Tuttavia il Settecento fu più sottile: per un attentatore quasi simbolico di Luigi XV tutta la medicina di Francia fu mobilitata per escogitare gli strazi più scientifici.

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Anche il diavolo era duro a morire. I roghi delle streghe si facevano sempre più rari, ma durarono fino alla metà del secolo e oltre. Anzi ci furono forme di esoterismo estranee a un clero sempre più mite. Solo nel Settecento poteva esserci un papa Lambertini e uomini di chiesa come il Galiani. Invece dei severi Giansenisti ci furono i Sociniani; nei paesi protestanti si sviluppò il "pietismo", un cristianesimo profondo ma tenero, segreto, individuale. L'Austria, cattolica ma grande Stato, ridusse le tentazioni teocratiche del clero. Le folle rimasero cristiane, le classi superiori si fecero più tolleranti. Gli ebrei erano nei ghetti, ma Lessing spezzò una lancia per loro con un pezzo teatrale famoso, Nathan il saggio. Nacque ovunque un personaggio importante, l'abate, trait-d'union universale.

Tempi della raison, che veniva identificata con la ratio classica, e avevano in comune il nesso con la felicità. Mai questa parola pericolosa fu così usata. Era un fine pubblico; molto diversa dalla Vernunft germanica e romantica, s'avvicinava al buon senso. Ma è incredibile come può essere rivoluzionario e sovvertitore il buon senso, nelle mani del philosophe. Era un intellettuale molto più pericoloso dell'antico suo fratello philosophus. Sottoporre alla prova del buon senso tutto, significa cambiare tutto, e il secolo ottimista finì capovolgendo se stesso.

 

L'Arcadia

 La letteratura si mosse presto. Il saggio di Muratori Della perfetta poesia (1706) e quello di Gian Vincenzo Gravina Della ragion poetica (1708) sono libri nuovi che invocano il nuovo, anzi il grande, e per di più sono scritti da robuste intelligenze. Disprezzano il passato prossimo, uccidendo un uomo morto, il marinismo. Muratori fa un'osservazione acuta: quei poeti ricercati erano solo degli intellettualisti (non sappiamo se con intelletto).

Gravina (1664‑1718), grecista intollerante e professore di diritto, aveva della poesia non solo un concetto grande, ma purtroppo immenso: era Orfeo che trascina con la potenza del canto pietre e piante. Onorava Dante e Omero: figurarsi che cosa pensava del Marino. Come Orazio, oggettivista più di lui, era stupito che una "menzogna" - cioè la poesia - potesse tanto; una sorta di magia bianca ("maga, ma salutare").

Per questo amore di padre senza figli (abortì scadenti tragedie) finì per aderire a un'accademia destinata a un eccezionale avvenire, l'Arcadia: fu fondata da quattordici letterati in un'ora estatica, durante un'ottobrata romana del 1690. Si era nel parco di una villa e ci si sentì nell'Arcadia dei poeti innocenti, quella di Teocrito, Virgilio e Sannazaro. Gravina stesso scrisse il programma del "buon gusto" in latino.

Ma gli altri amavano le canzonette alla Lemene, la poesia melodicissima. Sappiamo che radici profonde aveva in Italia, a cui s'aggiungeva la nobile parentela con i classici latini e con Petrarca. Purtroppo si esagerò subito, con un accademico come Giambattista Zappi, che trasformava il buon sangue imolese in zucchero puro; ma per quanto stucchevole, perfino Leopardi l'ammirerà come l'Anacreonte italiano. Si può capire il suo successo e il fastidio di Gravina, che abbandonò i figli degeneri. Ma la strada era questa: grazia, amena natura, amore tra galanteria ed emozione nascosta, e melodia soprattutto, molta, facile; settenari, senari, ottonari, dolci tronche, dolci rime. "Arcadico" è un aggettivo storico semanticamente connesso con la maiolica e la madreperla.

Ma c'era bisogno di un maestro e l'ebbe, Metastasio, allievo e quasi figlio di Gravina, che l'allevò ai suoi ideali e gli diede anche il nome, traduzione di quello nativo (Trapassi). L'aveva scoperto come "improvvisatore". E' un personaggio dimenticato l'improvvisatore, ma indispensabile per capire le antiche Italie: c'erano virtuosi del verso che infilzavano rime a gogo su qualunque argomento. Gli stranieri, anche Madame di Staël, erano ammirati.

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L'Arcadia deve la sua fortuna all'organizzazione: ci si chiamava pastori e pastorelle, si assumeva uno pseudonimo greco-latino, ci si riuniva periodicamente nei parchi delle ville, che erano la loro "campagna" (all'agricoltura e ai contadini neppure pensavano). Si fondavano "colonie" lontane, e da queste altre ancora; per i fondatori, gli "archimandriti", era una grande lusinga, che permetteva di "scegliere" e di nominare, fra i gelosi letterati locali. Un'esclusione da un'accademia così affermata era un'emarginazione, e appartenervi una sorta di laurea in poesia.

Così l'Italia pullulò di pastori e pastorelle e risuonò di versi danzanti. Situazioni convenzionali, chi lo nega, ma permettevano libertà indefinite e allusioni saporite. Aderirono anche i maggiori, un Parini, un Goldoni, un Goethe: tutti.

Veramente Muratori, molto presto, propose "adunanze più utili e sode", dedicate alle scienze e alla ricerca, ma nessuno gli diede retta e lo lasciarono solo nella sua biblioteca.

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Del resto, ci fu del buono: Paolo Rolli, per esempio (1687‑1765). La consorte dello Zappi, Faustina Maratti, che scrisse un sonetto petrarcheggiante ma nuovo perché molto vero e femminile, rivolto a una donna che aveva amato il suo uomo (Donna che tanto al mio bel Sol piacesti...). E si andò molto oltre per quel secolo e parte del seguente, in tutt'Italia e anche fuori.

Era nato uno strumento che fu usato da temperamenti e ingegni radicalmente diversi; la cosa più duratura e significativa dell'Arcadia è proprio questo strumento, la strofetta. Ne fecero Ludovico Savioli, che piacque molto a Foscolo giovane; ne fecero Pindemonte e Parini e lo stesso Foscolo giovanile.

Anche la romanza Gretchen am Spinnrad del Faust è alta arcadia; e molta poesia di uno dei migliori poeti dialettali d'Italia, Giovanni Meli (1740-1815). Perfino Leopardi ricorse a questa antica spinetta (Il risorgimento):

Piansi spogliata, esanime
fatta per me la vita;
la terra inaridita,
chiusa in eterno gel;
deserto il dì; la tacita
notte più sola e bruna,
spenta per me la luna,
spente le stelle in ciel.

 

Il vertice del melodico: Metastasio

 Pietro Metastasio si iscrisse all'Arcadia subito dopo la morte di Gravina (1718). Aveva vent'anni, un aspetto roseo e amabile, molto orecchio musicale e una vena a comando.

Ereditò i beni e i libri del Maestro. Poco dopo, ebbe le tenerezze fedeli della contessa Marianna di Althann, dama di corte dell'imperatrice; poi, senza contrasto, l'amore indistruttibile della celebre cantante Marianna Bulgarelli; a trent'anni successe ad Apostolo Zeno, a Vienna, come "poeta cesareo", dove la prima Marianna lo protesse con amore e la seconda morì lasciandolo erede universale, e infine una terza Marianna l'amò d'amore maturo. A tanta fortuna Metastasio reagì con la virtù stoica dell'animo sempre uguale; e restituì al marito l'eredità della seconda Marianna.

Ventisette melodrammi, quasi tutti di argomento classico, fecero di lui una delle più grandi e forse la meno discussa delle glorie letterarie del secolo (morì nel 1782). Tra gli ammiratori ci furono un Voltaire, un Rousseau, che lo chiamò "poeta del cuore" (che noi pensavamo di maiolica). E' difficile immaginare davvero quegli spettacoli in cui il suono della spinetta, la nobiltà dei sentimenti e la perfezione metrica si fondevano in un teatro di madreperla, dall'acustica delicata. E' incredibile, ma Metastasio per primo era convinto di riportare sulla scena il vero teatro greco, nutrito di musica, e che quei personaggi, tutti fasciati da un bianco ospedaliero e col tricorno, erano i perfetti eroi di Roma antica. La donna portava il sublime del sentimento e l'eroe presentava una virtù senza sforzo, senza pena e senza crediti.

Metastasio aveva venticinque anni quando la Didone abbandonata gli diede di colpo la celebrità. Era un argomento, in sé, più famoso che sentito, e oggi Enea e il suo Fato convincono poco e i lamenti di Didone sanno di eloquenza. Ma Metastasio ammirava. A Selene, sorella di Didone, procurò un innamorato infelice, Araspe, e fece di Iarba, pretendente locale, un personaggio machiavellico e senza cuore, cioè un bruto. Il resto, sull'onda del recitativo, venne da sé. Enea fu sublime nella lotta tra il dovere e l'amore (anche Metastasio era, in privato, un cuore amletico), la regina più sublime perché non dubitò (le donne sanno quello che vogliono, anche a loro danno, come le sue Marianne) e Selene è la più sublime di tutti, camuffando la sua adorazione per Enea in amore per la sorella. Infine interviene il bruto, Iarba, che dà fuoco a tutto quanto.

C'è già il vero segreto. La soluzione eloquente di Virgilio non viene elusa, ma oltrepassata: quando la passione è al culmine e la parola non basta più, interviene l'ineffabile della musica; la famosa "arietta" metastasiana non è un intermezzo, è il vertice e la catalisi del dramma; invece dell'urlo tiesteo, in cui la parola atterrisce e in realtà si avvilisce, c'è la romanza, in cui la melodia trionfa e il cuore si esalta; ecco perché Metastasio sentiva la sua arte catartica. Aveva più ragione di Aristotele.

E poi, quanto più consolante e morale della tragedia truculenta! Perché cercare il sublime nell'orrore, quando c'è nella virtù? Che bisogno c'è del sangue? Nessuno muore sulla scena, e perciò muore psicologicamente dopo, e intanto gode la sua commozione.

Tra gli eroi della esemplare romanità non poteva mancare Attilio Regolo. Metastasio ritiene utile darne le fonti, ma non dà quella vera, lo squarcio oraziano dell'ode III 5, sobrio e duro. Metastasio fa gustare quel martirio bianco ed eretto, in un flusso di lindi endecasillabi svariati dalle ariette: sia pure con gli occhi lustri, bisogna accettarlo. Ma il poeta pensò anche ai cuori teneri, con l'aiuto di Barce, schiava cartaginese beneficata, che non capisce quei benefattori: Che strana idea questa produce in Roma / avidità di lode! e canta lieve:

Ceder l'amato oggetto,
né spargere un sospiro,
sarà virtù, l'ammiro:
ma non la curo in me.
Di gloria un'ombra vana
in Roma è il solo affetto;
ma l'alma mia romana,
lode agli dèi, non è.

Anche Metastasio ha la sua raison du coeur.

Eppure questo cuore ragiona, in Metastasio; commosso, ma lucido. E' una partita a scacchi i cui pezzi sono le passioni. C'è un piccolo teorema da risolvere, ogni volta; prevale una sorta di chiasmo passionale che deve però scattare. Per esempio nell' Adriano in Siria (1732) l'imperatore umanista, in guerra coi Parti, ama Emirene, sua prigioniera e figlia dell'avversario; lei invece ama riamata Farnaspe, che la chiede in sposa proprio ad Adriano. Questi si sottomette al parere dell'interessata; ma, a causa d'un altro innamorato, Emirene non apre il suo cuore. Ma Adriano è già amato dall'ottima Sabina, ora trascurata; dopo gravi incidenti esterni e sublimi finzioni, Adriano finisce per aprirsi alla gratitudine per Sabina e tutto finisce bene. Il chiasmo è questo:

 Farnaspe                                           Sabina

Adriano                                            Emirene

e lo fa scattare la saggezza di Adriano. Il pubblico è felice, e a questo punto si leva un inno all'imperatore Carlo d'Asburgo: Lui la terra ammirò, te il mondo adora. Come parlare di adulazione? Lustreggiarono gli occhi anche all'imperatore moderno.

 Il successo di Metastasio si può capire; non solo visse, ma anticipò il grande sogno del philosophe, l'identificazione della virtù e della felicità. Illusione che morirà molto lentamente.

 

Pubblicato in «La Nuova Tribuna Letteraria», n. 79, 2005 pagg. 9-12